Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/38

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Onde ognun poi l’adora, ognun l’ammira,
Lo guarda, e in mezzo a lor ferrato, e stretto
Lo portan sopra gli omeri, e gli fanno
Nella battaglia dei lor corpi scudo;
E spesso, per salvare il lor Signore,
Voglion morir di gloriosa morte.
Da questi segni, e da sì belli esempi
Hanno creduto alcuno eletti ingegni,
Che alberghi in lor qualche divina parte,
Che con celeste, e sempiterno moto
Muova il corporeo, e l’incorporeo regga;
Perciò che la grand’anima del Mondo
Sta come auriga, è ’n questa cieca mole
Infusa, muove le stellate sfere,
L’eterea plaga, e quel, dove si crea
Il folgore, la pioggia, e la tempesta,
E la monstrosa macchina del mare,
Su ’l grave globo della Madre antica.
Di qui gli uomini tutti, e gli animali,
E gli armenti squamigeri, e i terrestri,
Le mansuete bestie, e le selvagge,
Picciole, e grandi, rettili, ed alate,
Aver primo principio, aver la vita,
Avere il morto, il senso, e la ragione,
E certa providenza del futuro:
A questa ritornar l’anime nostre,
Ed in questa risolversi ogni moto