Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/39

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Per questo esser celeste, ed immortale
L’anima in tutti i corpi dei viventi,
E ritornare al fin nel suo principio,
L’uno alle chiare stelle, e l’altro al Sole.
Questo sì bello, e sì alto pensiero
Tu primamente rivocasti in luce,
Come in conspetto degli umani ingegni,
TRISSINO, con tua chiara, e viva voce:
Tu primo i gran supplici d’Acheronte
Ponesti sotto i ben fondati piedi,
Scacciando la ignoranza dei mortali.
Ma non voglio ora entrar nelle tue lode;
Ch’io starei troppo a ritornarmi all’Api.
     Nel disiato tempo, che si smela
Il dolce frutto, e i lor tesori occulti,
Sparger convienti una rorante pioggia,
Soffiando l’acqua, c’hai raccolta in bocca,
Per l’aria, che spruzzare il vulgo chiama;
E convienti anco avere in mano un legno
Fesso, ch’ebbe già fiamma, or porta fumo;
Che impedite da quel non più daranti
Noja, e disturbo nel sottrarli il mele.
Due volte l’anno son feconde, e fanno
La lor casta progenie; e i lor figliuoli
Nascono in tanto numero, che pare,
Che sian dal ciel piovute sopra l’erbe.
L’una è, quando la rondine s’affretta