Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/13

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     Nata da quel medesmo sangue ancora,
E d’onesta vaghezza non minore
Ippolita apparea, ch’i campi infiora
Il verno, e ne’ begli occhi ha sempre amore,
Nè degli omeri d’uno, o duo s’onora;
Ma da molti s’alzava il suo valore,
Da molti dico, a l’età nostra antichi,
Amalthei, Capilupi, e Gradenichi.

     Ne l’altra, o perch’i’ tanto ardisco, e voglio
Stringer chiara bellezza in fosche rime?
Con men dura fatica, in duro scoglio
Gnidia, con debil piombo ancor s’imprime
Vedeasi scritto. È Martia Bentivoglio
Che per un, che ne scrisse è tra le prime,
Per un, che tanto il secol nostro onora,
Adriano Guglielmo Spatafora.

     Di quelle due vittorie, che si stanno
Così propinque, d’or l’intaglio dice,
È Vittoria Colonna, ch’alto inganno
A la morte farà sola Fenice.
È Vittoria Capana, a cui far danno
Grave non potrà mai tempo infelice.
Ed è ben dritto poich’han guance e chiome
Di beltà pari, abbian di pari il nome.