Pagina:Poemetti italiani, vol. IV.djvu/172

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Da cui riarse, il vaporoso crine
A’ purpurei tiranni, al cieco volgo
Stendono di terror lungo argomento.
     Invan ti fende di Cartesio il dotto
Immaginoso architettor pensiero
Degli elementi suoi le parti in quadro,
E te le finge invan da doppio moto
Fervidamente in vortici aggirate,
Tal che l’urto fra lor gli angoli franga,
E la sottil materia indi nascente
Vuoto non lasci. Impenetrabil sono
E solide le parti ond’è composta
Dell’universo la materia; e nulla
Scorrer potrebbe, e mutar forma e sede,
Se vuoto alcun non distinguesse i corpi.
Vuoti dunque del ciel sono gl’immensi
Ceruli campi, ove sciogliendo il corso
Volvon pianeti per riflessa luce
Chiari nell’ombre, e di splendor natio
Mille vibrano rai lontani soli,
E del peso e del moto insiem composte
Seguon le leggi onde s’annoda il mondo.
     Or l’infinita provvidenza, e l’arte
Di lui che primo d’un sol verbo impresse
Alla materia inoperosa i moti,
Tacito ammira, ed i ravvolti in fosca
Geometrica nube ardui segreti