Pagina:Poemetti italiani, vol. VI.djvu/101

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Ma a possente Signor scender non lice
Da le stanze superne infin che al gelo,
O al meriggio non abbia il cocchier stanco
Durato un pezzo, onde l’uom servo intenda
Per quanto immensa via natura il parta
Dal suo Signore. I miei precetti intanto
Io seguirò; ché varie al tuo mattino
Portar dee cure il variar dei giorni.
   Tal dí ti aspetta d’eloquenti fogli
Serie a vergar che al Rodano, al Lemano
All’Amstel, al Tirreno, all’Adria legga
Il libraio che Momo e Citerea
Colmar di beni, o il piú di lui possente
Appaltator di forestiere scene
Con cui, per opra tua, facil donzella
Sua virtú merchi, e non sperato ottenga
Guiderdone al suo canto. O di grand’alma
Primo fregio ed onor, Beneficenza,
Che al merto porgi ed a virtú la mano!
Tu il ricco e il grande sopra il vulgo innalzi
Ed al concilio de gli Dei lo aggiugni.
   Tal giorno ancora, o d’ogni giorno forse
Dên qualch’ore serbarsi al molle ferro
Che il pelo a te rigermogliante a pena
D’in su la guancia miete, e par che invidi
Ch’altri fuor che lui solo esplori o scopra
Unqua il tuo sesso. Arroge a questi il giorno