Pagina:Poemetti italiani, vol. VI.djvu/104

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Con artificio negligente avrai,
Esci pedestre a respirar talvolta
L’aëre mattutino; e ad alta canna
Appoggiando la man, quasi baleno
Le vie trascorri, e premi ed urta il volgo
Che s’oppone al tuo corso. In altra guisa
Fôra colpa l’uscir, però che andrièno
Mal distinti dal vulgo i primi eroi.
   Ciò ti basti per or. Già l’oriolo
A girtene ti affretta. Ohimé che vago
Arsenal minutissimo di cose
Ciondola quindi, e ripercosso insieme
Molce con soavissimo tintinno!
Di costí che non pende? avvi per fino
Piccioli cocchi e piccioli destrieri
Finti in oro cosí, che sembran vivi.
Ma v’hai tu il meglio? ah sì, che i miei precetti
Sagace prevenisti: ecco che splende
Chiuso in picciol cristallo il dolce pegno
Di fortunato amor. Lunge, o profani,
Ché a voi tant’oltre penetrar non lice.
E voi, dell’altro secolo feroci
Ed ispid’avi, i vostri almi nipoti
Venite oggi a mirar. Co’ sanguinosi
Pugnali a lato le campestri rôcche
Voi godeste abitar, truci all’aspetto,
E per gran baffi rigidi la guancia