Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/124

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Che ragione apprestò te pur difese
Dal pallido livor, che tenta invano
Col dente sparso di viperea spuma
Morder le tue grand’opre, e indarno grida
Con importuna voce, che dell’arte
Non conoscendo tu nè fren, nè legge,
Ove il folle capriccio, ove il bizzarro
Immaginar ti trasse, impetuoso
Con passo incerto, e irregolar corresti.
Miseri umani ingegni, ove vi guida
„ L’error de’ ciechi, che si fanno duci!
Questi fu grande appunto, perchè il freno
Servil dell’arte non legò giammai
A lui le infaticabili, e ritrose
Impazienti penne, Arte infelice
Quando a Natura contrastare ardisce,
E imprigionarla tenta, e farla serva!
Guarda, che possa l’arte, e che Natura,
Mira di bianche mura intorno cinto
Quell’augusto giardin, che in dritte file,
Che la squadra guidò, tagliano eguali
Le strade erbose; ogni arbore, che sorge
Da un lato, ha pur dall’altro il suo compagno
Che a lui risponde: è nel suo centro angusta
Marmorea conca u’ guizzan pesci aurati,
E d’onde con sottil breve zampillo
Spiccia l’onda costretta; in pinti vasi