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Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/123

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Ne’ prati errando, il più bel fior ne colse
Sotto la scorta del severo Vecchio,
Che Stagira onorò: di quel, che posta
Lalage in bando al fin, si fe’ maestro
Della sacra del Ciel dolce favella;
E di quel grande ancor, che di Palmira
Alla Reina sventurata seppe
Più sventurato Precettor le belle
Arti insegnare, e sopra l’arse arene
Della deserta Arabia in tuon sublime
Pensier spiegò degni d’Atene, e Roma,
Questa gran Donna i più secreti, e veri
Fonti, onde sorge il bello, onde i colori
S’attingon per ritrar della natura
Il vario, il grande, il maestoso aspetto
Rintracciò diligente, e fatto poi
Di tai lumi tesoro a te si volse
Felice spirto, e i tuoi sublimi carmi
Ornò così, che parvero più belli:
Come più vago appar drappo, qualora
Serpeggianti v’intesse aurate liste
L’amabile Licori, e al facil moto
Della vezzosa man l’obbediente
Ago pingendo va la rubiconda
Fragoletta nascente, o intreccia i verdi
Serici rami coll’argentee foglie.
Con scudo di settemplice adamante,