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Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/138

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     O spirto, o immago dell’Eterno, e fiato
Di quelle labbra, alla cui voce il seno
207Si squarciò dell’abisso fecondato,
    Dove andar l’innocenza, ed il sereno
Della pura beltà, di cui vestito
210Discendesti nel carcere terreno?
    Ahi, misero! t’han guasto e scolorito
Lascivia, ambizion, ira ed orgoglio,
213Che alla colpa ti fero il turpe invito!
    La tua ragione trabalzar dal soglio,
E lacero, deluso ed abbattuto
216T’abbandonar nell’onta e nel cordoglio,
    Siccome incauto pellegrin caduto
Nella man de’ ladroni, allorchè dorme
219Il mondo stanco e d’ogni luce muto.
    Eppur sul volto le reliquie e l’orme,
Fra il turbo degli affetti e la rapina,
222Serbi pur anco dell’antiche forme:
    Ancor dell’alta origine divina
I sacri segni riconosco; ancora
225Sei bello e grande nella tua rovina.
    Qual ardua antica mole, a cui talora
La folgore del cielo il fianco scuota,
228Od il tempo, che tutto urta e divora,
    Piena di solchi, ma pur salda e immota
Stassi, e d’offese e d’anni carca aspetta
231Un nemico maggior, che la percota.