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Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/137

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     Bocca, dond’esce il riso, che penetra
Dentro i cuori, e l’accento si disserra,
180Ch’or severo comanda, or dolce impetra;
    Mano, che tutto sente, e tutto afferra,
E nell’arti incallisce, e ardita e pronta
183Cittadi innalza, e opposti monti atterra;
    Piede, su cui l’uman tronco si ponta,
E parte e riede, e or ratto ed or restio
186Varca pianure, e gioghi aspri sormonta;
    E tutta la persona entro il cuor mio
La maraviglia piove, e mi favella
189Di quell’alto Saper, che la compio.
    Taccion d’amor rapiti intorno ad ella
La terra, il cielo: ed io son io, v’è sculto,
192Delle create cose la più bella.
    Ma qual nuovo d’idee dolce tumulto!
Qual raggio amico delle membra or viene
195A rischiararmi il laberinto occulto?
    Veggo muscoli ed ossa, e nervi e vene,
Veggo il sangue e le fibre, onde s’alterna
198Quel moto, che la vita urta e mantiene;
    Ma nei legami della salma interna,
Ammiranda prigion! cerco, e non veggio
201Lo spirto, che la move e la governa.
    Pur sento io ben che quivi ha stanza e seggio,
E dalla luce di ragion guidato
204In tutte parti il trovo, e lo vagheggio.