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Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/140

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     Non è straniero il loco, e la magione.
Qui fu dove dal Cigno Venosino
261Vagheggiar ti lasciasti, e da Marone;
    E qui reggesti del Pittor d’Urbino
I sovrani pennelli, e di quel d’Arno
264"Michel più che mortale Angel divino.
    Ferve d’alme sì grandi, e non indarno,
Il genio redivivo. Al suol Romano
267D’Augusto i tempi e di Leon tornarno.
    Vedrai stender giulive a te la mano
Grandezza e Maestà, tue suore antiche,
270Che ti chiaman da lungi in Vaticano.
    T’infioreranno le bell’Arti amiche
La via dovunque volgerai le piante,
273Te propizia invocando alle fatiche:
    Per te all’occhio divien viva e parlante
La tela e il masso; ed il pensiero è in forsi
276Di crederlo insensato o palpitante:
    Per te di marmi i duri alpestri dorsi
Spoglian le balze tiburtine, e il monte,
279Che Circe empieva di leoni e d’orsi;
    Onde poi mani architettrici e pronte
Di moli aggravan la latina arena
282D’eterni fianchi, e di superba fronte:
    Per te risuona la notturna scena
Di possente armonia, che l’alme bea,
285E gli affetti lusinga ed incatena;