Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/141

Da Wikisource.

137

     E questa Selva, che la selva Ascrea
Imita, e suona di Febeo concento,
288Tutta è spirante del tuo nume, o Dea:
    E questi lauri, che tremar fa il vento,
E queste che premiam tenere erbette
291Sono d’un tuo sorriso opra e portento;
    E tue pur son le dolci canzonette,
Che ad Imeneo cantar dianzi s’intese
294L’Arcade schiera su le corde elette.
    Stettero al grato suon l’aure sospese,
E il bel Parrasio a replicar fra nui
297di Luigi, e Costanza il nome apprese.
    Ambo cari a te sono, e ad ambidui
Su l’amabil sembiante un feritore
300Raggio imprimesti de’ begli occhi tui;
    Raggio, che prese poi la via del core,
E di virtù congiunto all’aurea face
303Fe’ nell’alme avvampar quella d’Amore.
    Vien dunque, amica Diva. Il Tempo edace
Fatal nemico, colla man rugosa
306Ti combatte, ti vince, e ti disface.
    Egli il color del giglio e della rosa
Toglie alle gote più ridenti, e stende
309Dappertutto la falce ruinosa.
    Ma se teco virtù s’arma, e discende
Nel cuor dell’uomo ad abitar sicura,
312Passa il veglio rapace, e non t’offende;