Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/23

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     Per aspra, incolta, e disusata via,
Con gran dolor la Dea va camminando,
E la Superbia incontra, che fuggia,
A cui dal mondo avea dato Amor bando,
165E l’Avarizia era in sua compagnia;
La Diva se le venne approssimando,
E dove elle di gir s’avean proposto
Lor fè dimanda; onde le fu risposto.

     Dannate siam, disse, in eterno esiglio
170L’empia Superbia all’adirata Dea,
Dal maledetto, e scellerato figlio
Della malvagia, e brutta Citerea,
Il qual con certo suo soave artiglio
Gli animi tira alla sua voglia rea,
175E se ’l mondo terrà troppo il suo stile,
In breve diverrà povero, e vile.

     Come, che gravi sian nostri dolori,
Che tenevamo in terra il primo loco,
E stavam nelle corti de’ Signori,
180Anzi, nel cor più che in ogn’altro loco;
Via più c’incresce de’ nostri maggiori,
Ch’ad Amor, come veggio a poco, a poco
Giove ubbidisce, e le sant’alme, vinte
Da certe sue dolcezze amare, e finte.