Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/42

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Volgo il corso talora
De’ luminosi, indomiti cavalli
Giuso ne’ campi Elisi, e traggo fuora
De le caliginose, e cupe valli
L’alte memorie dell’età vetuste,
E le prische alme auguste,
Ch’ivi tra l’ombre inferne ascose stanno,
Qua meno a respirar vite più belle;
E ’l canuto Signor di Stige fiero
Mi guarda, e n’ave affanno,
Che sue ragioni a lui tolga, e l’impero.
Di là torno a poggiar sotto le stelle
Con le prede novelle:
L’eternitade il bel tesoro attende,
E sol da’ cenni miei la fama pende.
     D’indi passa mia mente
Su lo splendor de’ Cavalieri, e Regi,
E qualch’alma mirar degna sovente,
Che del vero valor si cinga, e fregi.
E ben più d’un eroe gentile, e prode
Per la concessa lode
Chiaro, e altero n’andò su le famose
Glorie delle passate anime illustri,
Le quali spesso rimirai, che stersi
Su i fasti altrui pensose.
Bello intorno venirmi era a vedersi
Più d’un, vago de’ carmi, onde s’illustri