Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/93

Da Wikisource.

89

Lo Spartano potere, e il franse alfine
A Leutra, e a Mantinea la pingue Tebe.
Del commercio l’onor la Grecia ascose
Sotto il velame dell’Argoica nave,
Che delle merci Achive onusta il seno
Cambiolle prima a barbare contrade,
E portò vincitrice al patrio lido
L’aureo tosone, ed or naviga in cielo.
Al più saggio dei Re l’onda Eritrea
Dal dubbio Ossir solcavano le flotte
Gravide d’oro: All’Attico commercio
Lo stil volse e l’ingegno, e leggi diede
Il grave Senofonte, Attica Musa,
Di Socrate uditore, egli, che scrisse
Quel che in Asia dettò Minerva a Ciro.
Tali esempli seguire a te pur giova
Sicuro non fallir, sublime il capo
Oltre il basso tumulto, e il patrio bene.
Volgendo notte e dì nel cuor pensoso.
La bella donna tua ricca di bella
Prole, e del cinto a Citerea rapito
Di tue cure pur sia dolce conforto:
Ella, che all’Istro, ed alla Senna in riva
Nel sollecito tuo petto versava
Di conjugale amor balsamo Ibleo.
E dolce poi ti sia, spirto gentile,
Presa la cima dell’alpestro monte