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     Allora un di que’ due, che l’aurea cena
Fur chiamati a cenar, feo tai parole
Volar di bocca. Il labbro avea bruttato
505A quel torrente di scienza immondo,
Che già da l’alpi a noi scese innondando,
E franco il cor d’ogni paura, e un sordo
Vantava orecchio d’Acheronte al fiotto.
Forse d’egual tenor, disse, fu l’alto
510Portento, che al voltar mirò del sole
L’infelice Sion: cocchj per tutto
Quel ciel ne l’aria roteanti, e in moto
Tra l’alte nubi gran falangi armate;
E tal fu quello, cui ne l’aspra pugna
515Vide, già nato il Sol, d’Antioco il figlio:
Cinque su bei destrier ricco addobbati
Eroi dal cielo, e due di Giuda al fianco,
La Greca fulminando oste nemica,
Che inferma e cieca innanzi a lor cadèa.
520Ciò non soffrio l’altro Garzon più saggio,
E riprese: che narri? allor che il primo
Portento apparve, mosso ancor non era
Dal condottier Romano alle divine
Mura l’assalto: indi tra l’alte nubi,
525E in quel ciel tutto le falangi e i cocchj
Come veder? che più? cento altri segni
Dal ciel fur dati: l’ignea spada, il parto
Nefando, il lume che l’altar ricinse,

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