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     Talvolta m’ergo a riguardar la Luna,
E dico, o lume bel, ch’orni e rischiari
Co’ tuoi fulgenti rai la notte bruna,
Mira in che stato, e ’n che tormenti amari
Mutate ha la crudel empia fortuna
Le mie notti gioiose, e i giorni chiari,
E voi lumi altri che ’l gran cerchio ornate,
Di me vi caglia, e vincavi pietate.

     E se sapete che sia fisso in cielo,
Che vedermi giammai più non debbiate
Gir pien di dolce e dilettoso zelo
Per quelle avventurose alme contrate;
E ch’io non sol cangiar qui debba il pelo,
Ma lasciarvi ancor l’ossa travagliate;
Per temprar così acerba e dura forte
Pregate non mi sia più sorda Morte.

     Poi se la vista mia del pianto stanca
Per refrigerio al fido specchio corre,
Subito allor divien pallida e bianca
La faccia, che veder se stessa abborre,
E dico meco, omai che ’l pel s’imbianca
Miser convien la speme in altro porre,
E di rivolger queste voglie accese
Ad altra vita, ed a più belle imprese.