Pagina:Poemetti italiani, vol. XII.djvu/9

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     Contra costor colui che splende solo
S’apparecchiava con maggiore sforzo,
96E riprendeva un più spedito volo,
     A’ suoi corsier raddoppiat’era l’orzo,
E la Reina di ch’io sopra dissi,
99Volea d’alcun de’ suoi già far divorzo,
     Udì dir non so a chi, ma ’l detto serissi;
In questi umani, a dir proprio, ligustri,
102Di Cieca oblivione oscuri abissi,
     Volgerà ’l Sol non pur anni, ma lustri,
E secoli vittor d’ogni cerèbro,
105E vedrà il vaneggiar di questi illustri,
     Quanti fur chiari tra Penèo, ed Ebro,
Che son venuti, o verran tosto meno!
108Quant’in sul Xanto, e quant’in val di Tebro!
     Un dubbio verno, un instabil sereno
È vostra fama, e poca nebbia il rompe;
111E ’l gran tempo a’ gran nomi è gran veneno,
     Passan vostri trionfi, e vostre pompe,
Passan le signorie, passano i regni,
114Ogni cosa mortal tempo interrompe.
     E ritolta a’ men buon non dà a’ più degni,
E non pur quel di fuori il tempo solve,
117Ma le vostr’eloquenze, e i vostri ingegni.
     Così fuggendo, il mondo seco volve,
Nè mai si posa, nè s’arresta, o torna;
120Fin che v’ha ricondotti in poca polve.