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Pagina:Poemi (Byron).djvu/167

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il giaurro 163

880Nè spesso a riso scende, ma se il volto
A riso egli compon’, orrendo allora
È a mirarsi così, come se crudo
Al misero irridesse. Oh, come il labbro
S’aggrinza, e trema! come poi s’arresta
885Qual se per sempre, o qual se duolo, o sdegno
Di mai più non sorridere gli imponga!
Ed, oh pur fosse! Sì terribil gioja
Di piacer mai non nacque. Assai più tristo
Dipinger fora que’ che fur già affetti
890Su la sua faccia. D’invariabil segno,
Il tempo ancor non la solcò; ma un misto
Su vi sparse di fulgide sembianze,
E d’aspetto malvagio, e v’è tal tinta
Che non fu sempre squallida, e che svela
895Spirto sozzo non tutto da le colpe,
In che s’immerse. Oscurità di duri
Casi la crede, o giusta pena, il volgo;
Ma più severo indagator discerne
Il nobil core in lui, l’altera stirpe
900Indarno, ahi! spesi. Ben potè il delitto,
L’una macchiar, l’altra cangiar l’affanno,
Ma vil non era chi in bel don le ottenne,
Sebben compreso da spavento, in lui
Ogni sguardo or s’affisi. Umìl capanna