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104 ESIODO 357-386

Tre volte egli toccò la terra, tre volte colpito
355dalla mia lancia, e forato lo scudo: la quarta, spingendo
di tutta forza, immersi nel femore la cuspide, ruppi
di gran squarcio le carni. Piombò nella polvere prono.
E stette quivi, e segno d’obbrobrio restò pei Celesti,
ché sotto te mie mani lasciò le sue spoglie cruente».
     360Disse cosí. Ma Cigno dall’asta di frassino, ligio
ai detti suoi non fu, rattenere non volle i corsieri;
e rimbombò, mentr’essi movevano, l’ampïa terra.
     Come allorché d’un monte gigante dal vertice estremo
balzano rupi giú, strapiombano l’una su l’altra,
365e assai querce d’eccelso fogliame si spezzano, e pini,
e pioppi dall’eccelse radici, quando esse dall’alto
rotano impetuose, sinché non pervengono al piano:
cosí, con alte grida, piombarono l’uno su l’altro.
E tutta la città di Mirmídone, e l’inclita Iolco,
370ed Ame, con Antèa l’erbosa, e con Elica, un’eco
lunga a quel grido mandò. Piombarono l’uno su l’altro
con ululo infinito. Tuonò fieramente il sagace
figlio di Crono, e versò dal cielo sanguigna rugiada,
per inviare un segno di guerra al magnanimo figlio.
375Come per valli alpestri selvose, terribile un apro,
con le sporgenti zanne compare, anelando la pugna,
piantato obliquamente: la bocca digrigna, la spuma
gocciola giú, le pupille somigliano a fuoco che arda,
irti sui dorso e su la criniera si drizzano i peli:
380simile a questo, il figlio di Giove discese dal carro.
     Erano i dí che la bruna canora cicala, sul ramo
tenero verde, a cantare comincia l’Estate ai mortali,
che solo ha per bevanda, per cibo, la molle rugiada,
e la sua voce effonde dall’alba, sinché dura il giorno,
385nell’afa esosa, quando piú Sirio prosciuga la pelle:
i dí quando le reste compaion sui chicchi del miglio,