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387-419 LO SCUDO DI ERCOLE 105

ch’è seminato l’està, quando invàiano i grappoli acerbi,
doni di Bromio che gioie comparte ai mortali e tormenti.
Pugnarono in quei dí, della pugna fu grande il fracasso.
390E come due leoni, d’intorno ad un cervo abbattuto,
l’un contro l’altro, furore spirando, si avventano, e orrendo
suona il ruggito loro, lo strepito suona dei denti:
come avvoltoi dall’unghie rapaci, dal becco ricurvo
che sopra un’alta rupe si batton con fiero clangore,
395per una capra alpestre, per una selvatica pingue
cervia, che un giovinetto, vibrando una freccia dall’arco,
trafisse; ed egli poi, dei luoghi inesperto, lontano
andò vagando: quelli la videro súbito, e intorno
impetuosamente le corsero, ad aspro conflitto:
400cosí quelli, gridando, balzarono l’uno su l’altro.
E qui, Cigno, bramoso d’uccidere il figlio di Giove
onnipossente, vibrò sul suo scudo la lancia di bronzo;
né il bronzo si spezzò: ché schermo fe’ l’opra del Nume.
Ercole, invece, il figlio possente d’Anfitrïóne,
405gagliardamente immerse fra l’elmo e lo scudo la lancia,
nel collo, ov’esso ignudo pareva, al disotto del mento.
Il frassino omicida recise l’un tèndine e l’altro,
ché grande era la forza del colpo. E piombò come quercia
piomba, o scoscesa rupe, colpita dal folgor di Giove.
410Cosí piombò: su lui suonarono l’armi di bronzo.
E allora lo lasciò di Giove l’impavido figlio,
ed aspettò guardingo l’arrivo di Marte omicida,
fissandolo con occhi terribili, al par d’un leone
che in una preda s’imbatte, la pelle con l’unghie possenti
415cupidamente gli fende, ne sazia l’ingorda sua brama,
e, sfavillando tremendo negli occhi, le spalle ed i fianchi
coi pié gli scava, e sferza la coda, e nessuno che veda
farglisi contro ardisce, combatter con lui faccia a faccia.
D’Anfitrïone il figlio mai sazio di zuffe, di fronte