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l ESIODO

il mito, non hanno speciali tenerezze per il genere umano, scendano fra gli uomini, non già per infliggere qualche esemplar punizione, o per svagarsi con le loro belle figliuole, bensí per discutere con loro da pari a pari.

Ma se si riduce il fatto mitico nelle proporzioni e nell’ottica d’un fatto umano, la stranezza sparisce di colpo, e tutti i particolari ne divengono logici e razionali. Entrambe queste adunanze sono allora due congressi, nei quali, da una parte il popolo, dall’altra il re con gli ottimati, discutono i reciproci diritti. A tutti son già corsi alla mente i casi analoghi che offre la storia romana. E s’intende che simili comizii presuppongono condizioni sociali oramai molto remote dalle primitive tirannidi.

Ma ecco un altro fatto anche piú caratteristico. Insieme col popolo appare schierata una famiglia di nobili, i Giapètidi.

I Giapètidi erano anch’essi Titani, ossia di antichissima nobiltà. Ma tutta la tradizione li dipinge amici degli uomini. E intorno ad essi si dové formare la tradizione, che poi, ampliata nei modi e con le contaminazioni che dicemmo, fu estesa a tutti i Titani, e che ci è riferita da Diodoro Siculo (V, 66, 1 sg.): «che ognuno di loro fu inventore per gli uomini di qualche trovato: onde per gli universali benefizi rimase di loro memoria eterna».

La figura del nobile che, contro l’assolutismo della sua casta, si schiera dalla parte dei plebei, ritorna assai di frequente nella storia documentata (anche qui, il pensiero corre prima che ad ogni altro, a Tiberio Gracco); ed è esaltata dagli uni, depressa, naturalmente, dagli altri; e alla depressione poteva offrire facile appiglio, perché non sempre purissime sono le intenzioni di questi paladini della plebe, e assai spesso la democrazia traligna in demagogia.

La leggenda di Prometeo, quale poi la troviamo nella Grecia classica, democratica, simpatizza manifestamente con