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PREFAZIONE | lxxix |
Quando poi sboccia il fiore del cardo, e d’un albero in vetta
l’armonïosa cicala dal fitto vibrare dell’ali
spande l’arguto trillo.
Il poeta ha osservato, evidentemente, che il frinire della cicala si origina dalle ali vibranti, e non già, come si è indotti a credere alla bella prima, dalla gola1.
Si veda questa meteora.
Perché gelida è l’alba nei giorni che soffia la bora;
e sul mattino cala, dal cielo stellato alla terra,
sui campi ai fortunati, un’aura che il grano matura,
che poi che l’acqua attinse dai fiumi che corrono eterni,
ed alta, via da terra balzò, con la furia del vento,
ora si scioglie in pioggia sul vespero, ed ora, se troppo
mulina il tracio Borea le nuvole, in vento si perde.
La meteora è descritta con una precisione e una freschezza che a momenti fanno pensare al Goethe2.
E dallo schizzo e dal bozzetto Esiodo sa, con rapido trapasso, elevarsi al gran quadro. Basta pensare alla pittura dell’inverno, che dopo tanti e tanti secoli serba intatta la sua freschezza, la sua efficacia, e strappò al Leopardi iperbolici accenti di ammirazione.
E poi, su questo piccolo mondo campagnolo, il poeta ci mostra continuamente l’azzurro arco del cielo, che è ugual-