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312 levia gravia

Quando un poeta si dilunga! O cieca
75E diserta Firenze, or che ti resta
Altro che frati e bottegai! Le vie
De l’esilio fioriscono d’allori
A’ poeti raminghi, e loro è d’ombre
E di corone larga ogni cittade
80Ogni castello. Oh, quando abbiavi il dolce
Paese di Provenza e voi ristori
Cortesia di signor beltà di donne,
Non v’incresca, per dio, di questa Italia
Vedova trista, ch’ognor piú dimagra
85E di buoni e di ben. Ma, se spiacente
Il castel di Mulazzo e ’l castellano
A voi non parve, se mercé d’amore
Vinca l’ambascia de la dura via,
Non vorrete, Sennuccio, or consolarne
90D’un amoroso canto? ― E pur tacendo
Il marchese chiedeva: un mormorio
D’assenso di preghiere e d’aspettanza
Levossi intorno. S’inchinò il poeta,
E — Tristi — disse — fian le rime, quali
95Nostra fortuna le richiede e ’l tempo. ―
Disse: e intonava pïetoso il canto.



Amor mi sforza di dover cantare
E lamentare — in quella ballatetta.