Pagina:Poesie (Monti).djvu/289

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CANTO TERZO 273

     Vagando in terra, e funestar di stragi
     Le contrade latine, a cui l’impero
     275Promettono del mondo il fato e Giove.
     E di Giove e del fato a mano a mano
     Qui le aperse i voleri, e il tempo e il modo
     De’ futuri successi: e non diè fine
     All’austero parlar, che ricordolle1
     280Le incudi un giorno al suo calcagno appese,
     E il braccio punitor, che non avea
     Perduta ancora la possanza antica.
Cadde il tizzo di mano a quegli accenti
     Al dio di Lenno2; e tra le vampe e il fumo
     285Si dileguò; né disse addio, né parve
     Aver mal fermo a pronta fuga il piede.
     Ma con torvo sembiante e disdegnoso
     Si ristette Giunon, ché rabbia e tema
     Le stringono la mente; e par tra’ ferri
     290La generosa belva che gli orrendi
     Occhi travolve, e il correttor flagello
     Fa tremar nella man del suo custode.
     Senza dir motto alfin volse le spalle,
     E rotando in partir la face in alto
     295Con quanta piú poteo forza la spinse:
     Vola il ramo infiammato, e di sanguigna
     Luce un grand’arco con immensa riga
     Segna per l’etra taciturno e scuro.
     Il sidicino montanar3 v’affisse
     300Stupido il guardo, e sbigottissi; e un gelo
     Corse per l’ossa al pescator d’Amsanto4,
     Quando sul capo ruinar sel vide
     E cader sibilando nella valle;
     Ove suona rumor di fama antica,
     305Che del puzzo mortal che ancor v’esala,
     L’aria e l’onde corruppe, ed un orrendo
     Spiraglio aperse che conduce a Dite.
Come allor che su i nostri occhi Morfeo
     Sparger ricusa la letea rugiada5,

    duceo.

  1. ricordolle ecc.: Richiama, con grande efficacia, i vv. 119 o segg. Per simil uso cfr., p. e., Tasso, 1,12 e 16.
  2. Al dio di Lenno: a Vulcano. Cfr.il v. 322, e. II.
  3. Il sidicino montanar: I monti Sidiclni erano presso a quelli di Sessa Aurunca.
  4. e un gelo: ecc.: «Il poeta immagina aperto dal cadere dell’infiammata verga lanciatavi da Giunone il famoso spiraglio d’Amsanto, da cui esala ancora un’aria mefitica. Cicerone (De divinatione, 1, 36) o Plinio (H. N. II, 93) fanno menzione di questo spiraglio. Virgilio canta di esso nel settimo dell’Eneide (v. 563)». Mg.
  5. la letea rugiada: il sonno, che per poco ci fa dimenticare della