Pagina:Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi tra le pastorelle arcadi Lesbia Cidonia, 1820.djvu/91

Da Wikisource.

79


18In su l’eteree volte, a che ti stai
     O diva Urania, e di che prendi or cura?
     Che ti cale del ciel, se Morte omai
     Scempio fa del tuo figlio, e a noi lo fura?
     Vieni; e co’ puri tuoi fulgidi rai
     Sgombra la nube, che sue luci oscura;
     Vieni; e quel salva, ch’han gli Dei sì caro,
     Ch’ogni loro segreto a lui svelaro.

19Dunque non basta, che dal ciel concessi
     A noi sien sì di rado i sacri ingegni,
     Che gl’invidia la Terra, e sovra d’essi
     Versa l’Erebo ancor tutti i suoi sdegni?
     Fia dunque o Numi che di viver cessi
     Questi, che opra è di voi sì rara! ah indegni
     Di sì gran nome, e chi, se or tali scherni
     Soffrir potete, crederavvi eterni?

20Che veggio? ahimè! la man, che franca ardiva
     Dipingere natura, or l’immortale
     Suo pennello cader sente, e la priva
     Dell’altera sua possa un gel mortale.
     Gli occhi, onde il fuoco dell’ingegno usciva,
     Cinti da benda sono atra e ferale;
     Lungi da lor sen fugge il sonno, e solo
     L’ardente febbre li circonda, e il duolo.