Pagina:Poesie di Giovanni Berchet.djvu/95

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Aravan sul monte; sentito han la squilla;
     20Son corsi alla strada; son scesi alla villa,
     Siccome fanciulli traenti al romor.
     Che voglion? del giorno raccoglier gli eventi,
     Attendere ai detti, spiare i lamenti,
     Parlarne il domani senz’ira o dolor. —

25Ma sangue, ma vita non è nel lor petto?
     Del giogo tedesco non v’arde il dispetto?
     Nol punge vergogna del tanto patir? —
     Sudanti alla gleba d’inetti signori,
     N’han tolto l’esempio: ne’ trepidi cuori
     30Han detto: Che giova! siam nati a servir. —

Gli stolti!... Ma i padri? — S’accoran pensosi,
     S’inoltran cercando con guardi pietosi
     Le nuore, le mogli piangenti all’altar.
     Su i figli ridesti coll’alba primiera
     35Si disser beate. Chi sa se la sera
     Su i sonni de’ figli potranno esultar? —

E mentre che il volgo s’avvolta e bisbiglia,
     Chi fia quest’immota che a niun rassomiglia,
     Nè sai se più sdegno la vinca o pietà?
     40Non bassa mai ’l volto, nol chiude nel velo,
     Non parla, non piange, non guarda che in cielo,
     Non scerne, non cura chi intorno le sta.

È Giulia, è una madre. Due figli ha cresciuto;
     Indarno! l’un d’essi già ’l chiama perduto:
     45È l’esul che sempre l’è fisso nel cor.
     Penò trafugato per valli deserte;
     Si tolse d’Italia nel dì che l’inerte
     Di sè, de’ suoi fati fu vista minor.

Che addio lagrimoso per Giulia fu quello!
     50Ed or si tormenta dell’altro fratello:
     Chè un volger dall’urna rapire gliel può.
     E Carlo de’ sgherri soccorrer le file!
     Vestirsi la bianca divisa del vile!
     Fibbiarsi una spada che l’Austro aguzzò!