Pagina:Poesie inedite di Silvio Pellico II.djvu/103

Da Wikisource.

( 101 )

Viltà sembrato mi sarìa modesti
Accenti opporre ad arroganza tanta.
Tel confesso, signor: ciò che gli dissi
Appena il so. Non l’insultai, ma cose
395Di foco, certo, mi piovean dal labbro
Contro a’ denigratori; e di te laude
Tal gli tessei, che fu colpito e plause.
Va, buon servo, mi disse, amo il tuo ardire,
Ma non del tuo signor la ipocrisia.
     400— Oh ciel! diss’egli ipocrisia? Ingannato
Non t’han le orecchie tue?
                                                    — Disselo, il giuro.—
     A queste voci il cavalier si torse
Rabbïoso le mani, e con un misto
Di voluttà e di fremito, in più pezzi
405Franse un anel, che dono era d’Irnando,
Ed a’caduti pezzi impallidendo
Il piede impose, e li calcò nel fango.
     — È finito! proruppe. — Ed iracondo
Lagrimava, nè udìa del messaggero
410Parola più, nè rispondeagli.
                                                            A guerra
Precipitato contra Irnando ei fora;
Ma nol permise il ciel. D’una sorella
Alla difesa mover dee Camillo,