Pagina:Poesie inedite di Silvio Pellico II.djvu/113

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630Questo o quel detto di Camillo.
                                                                ― Io dunque
Era il superbo! esclama il cavaliero:
Espïar debbo mia ingiustizia. In guerra
Lunge da me l’amico mio periglia;
Ad aïtarlo di mie lance io volo.
     635E i suoi fidi raguna, ed abbracciate
La palpitante Elina ed Ildegarde.
E i pargoletti, in sella monta e parte.
     Per molti dì le due vicine a gara
Si consolavan, si pascean di speme,
640E alterne visitavansi, aspettando
De’ baroni il ritorno, o messaggero
Che di lor favellasse. Ascondon ambe
Il lor perturbamento, e sol ciascuna,
Quando al proprio castel siede romita,
645Numera i giorni ed angoscïata piange.
Quella dicendo: — « Oh non avess’io mai
Conosciuto Ildegarde! Ella funesta
Forse è cagion che il mio signore è spento! »
L’altra a Dio ripetendo: « Il mio Camillo
650Salva, e s’a me rapirlo è tuo decreto,
Deh ch’io presto lo segua, e per mia causa
Vedova Elina ed orfani i suoi figli
Ah no, non restin! »