Pagina:Poesie inedite di Silvio Pellico II.djvu/230

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110Prender non lunge, ove la figlia al raggio
Della luna scorgea l’amica torre
D’un consanguineo sir. Ma là giugnendo,
Odon che il giorno pria furibonda oste
Era quivi passata e avea deserta
115La rocca e trucidato il castellano,
E devastato a’ villici i tugurii.
     Il negro pan de’ villici dispersi
Piangendo rompe colla figlia Aroldo,
E beono alle lor tazze. Indi sen vanno
120Per tutti i casolari, invan cercando
Palafreno o giumento: avean le schiere
De’ nemici avidissime votata
In que’ lochi ogni stalla.
                                                  — Ahi, dilungati
Vieppiù ci siam dal tetto nostro, o padre!
125Or dove andrem?
                                   — Pedon la via si segua
Sino al mattin: buio non è, dicesti.
Fa cor; preghiamo camminando, e al guardo
D’altri ladron te, mia dovizia or sola,
Te il ciel pietoso asconderà.
                                                         Sì disse,
130E di padre l’affetto e di sorella
Lena lor porge insino all’alba. Il campo