Pagina:Poesie inedite di Silvio Pellico II.djvu/295

Da Wikisource.

( 293 )

Men da rabbia dettati eran que’ carmi
Che da desìo perenne e tormentoso
Di ritrarre e caduti e vacillanti
85D’infra il sozzume lor di melma e sangue.
E se nell’ira mia sfolgorò vampa
D’orgoglio e d’odio, or ne’ pensier di morte
La condanno e l’estinguo, e prego pace
A’ miei nemici sì viventi ancora,
90Sì nella notte dell’avel sepolti.
     Tacque di novo, e sollalzato meglio
L’infermo fianco, assisesi, ed eresse
La fronte, e colla palma la percosse,
E disse: — Io veggo l’avvenir!
                                                                 Nell’ossa
95Degli uditori un gel di reverenza
Rapido corse e di spavento.
                                                        — Io veggo
In quel lezzo di fango e di macelli
Volversi le repubbliche di questa
Agitata penisola, e gli scettri
100De’ Visconti e Scaligeri, e le inique
Insegne vostre, o guelfi o ghibellini,
E bianchi e neri, e quanti siete, o falsi
Promettitori di virtù e di gloria!
Giù que’ brandi sacrileghi e que’ nomi