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i - poemetti 119

55e con umil preghiera al del rivolgo
i pensier primi, che nel mondo errante
«non si comincia ben se non dal cielo».
Abil coppier frattanto agita e mesce
col dentato versatile strumento
60la mattutina d’oltramar bevanda,
e in lucida la versa eletta tazza,
del camuso Cinese aureo lavoro.
Fervida s’alza la disciolta droga,
e di fragranza liquida e di spume
65ricca sovra il capace orlo colmeggia.
Ve' come intorno a lei cadendo il raggio
vi spiega i bei colori, onde fra’ nembi
d' Iride il variato arco si tinge!
Ma di tante ricchezze alfin la spoglia
70il mio labbro digiun, che a sorso a sorso
va quel salubre farmaco libando,
e per dolcezza non invidia allora
il nettare, che largo in ciel mescea
alla mensa de’ numi il buon Vulcano.
     75Pieno cosí di nobil foco all’aure
apro grand’ala, che varcar non pave
gl’immensi tratti del profondo cielo;
e non della bivertice montagna
volo sull’erta, ma lá dove Atlante
80vastissimo sul curvo omero torce
l’asse ardente di stelle, e geme al pondo
dell’armoniche sfere. Ivi di schietto
a’ raggi permeabile cristallo
ruotan due cieli e il mobil primo, e sparso
85d’astri minuti il firmamento. In mezzo
a’ lumi erranti, all’instancabii sole
sul non movibil asse alto librata
pende la terra neghittosa, e sta.
Ma, mentre pingo arabe cifre e segno
90per l’artifizio di volubil punta