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Se per lui piangi, ora è il tuo pianto ingiusto;
che son de’ sensi i pertinaci affanni
cui sdegna un Dio arcanamente giusto.
70E fia che in deplorar, sposo, t’inganni
la libertá da una prigione oscura,
che «vita» chiami ed ha confin cogli anni?
Vita è quella che il tempo non misura:
quella che in faccia ha il sempre e a tergo il mai,
75mentre scorre beata e va secura.
Per farmi obbietto a’ tuoi deboli rai
sotto di questa aerea sembianza
mia luce ascosi, ch’ è piú bella assai.
r godo lá nella superna stanza
80del sommo Ben, che immaginar quaggiuso
l’accorgimento uman non ha possanza.
Ivi amo anche il tuo spirto; fuor dell’uso,
per virtú d’uguaglianza in me ’l vagheggio,
benché lungi e in terren manto racchiuso.
85Tempo verrá (lice sperarlo, e il deggio),
che lieto ancor tu sia dov’io son lieta,
alme indivise in un istesso seggio.
E, s’or disio di veder me t’asseta,
volgiti ai parti miei, ch’io lor somiglio:
90deh ! spendi in lor tue cure, e il duolo acqueta. —
Qui parve alquanto impietosire al ciglio:
poi nel profondo di un balen s’ascose,
e l’aer ne restò lucido e vermiglio.
Dal freno, allor che al core e al labbro impose
95coli ’angelica vista e i santi detti
nell’istante che apparve e mi rispose,
sciolti restar gli imprigionati affetti,
e cento, nel versar dagli occhi un fiume,
espressi tenerissimi concetti.
100Fuggendo intanto l’odiose piume,
l’alba m’udia che indi balzò dall’orto:
die’ tregua al duol col suo rosato lume,
ma sospirando ancor cerco il conforto.