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iii - a melchiorre cesarotti 89


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Co’ versi armati di saper socratico,
principio e fonte d’ogni bello scrivere,
piacerai Flacco, se al vil vulgo erratico
segni le tracce del diritto vivere:
o, spensierato del futuro, il pratico
di voluttá governo ami descrivere,
o sollevi gli eroi sugli astri lucidi,
o ’l codice d’Apollo apra e dilucidi.
25
Tu che allo spettro minaccioso orrifico
a cui d’Agamennòn cadde la figlia,
e incontro a Giove e al suo fulmin terrifico
imperterrite osasti alzar le ciglia;
tu che canti il vigor di Cipri onnifico,
e l’obliqua degli atomi famiglia,
dal cui cozzar e raccozzar fortuito
surser gli aspetti del mondan circuito;
26
non perché sciogli dal timor de’ superi
l’uom per te mai dell’avvenir sollecito;
non perché l’eternal cura vituperi,
e ciò che piace a voluttá fai lecito;
ma perché d’arte e vigoria tu superi
quanti fûr vati, il tuo volume io recito,
e imparo da qual nobile artifizio
tragga natura grazioso uffizio.
27
Or m’allettano i tersi ondosi numeri,
che la pietá fan chiara e ’l lungo esilio
di lui che il genitor trasse sugli umeri
dal foco che pascea le torri ad Ilio.
Oh lavoro immortal, oh pregi innumeri,
oh del Lazio splendor, divin Virgilio!
Se canti armi ed eroi, campagne o pecore,
posto col tuo, tutt’altro carme è indecore.