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uomo di poco valore, che da Venezia tornava a Siena; fu ricevuto cordialmente da Pasquino, e nella conversazione promisegli l’opera sua se egli in favor suo potesse qualche cosa e mostrando per vanità che egli a Siena era molto potente, aggiungendo che egli faceva parte del corpo di Stato: “Che Dio voglia, disse Pasquino, che questo presto crepi, affinchè tu e i pari tuoi ne possano il più presto uscire.” E così giocosamente punì la vanità di quel tale.


CLXXVIII

Di un dottore che alla caccia parlava in latino

ed era ignorante.


Un dottore di Milano, uomo sciocco ed ignorante, un dì che vide un tale che con una civetta andava alla caccia, lo pregò di condurlo seco, perchè desiderava di vedere. Il cacciatore acconsentì e nascose il nostr’uomo sotto delle frondi vicino alla civetta, col patto che non proferisse parola, perchè gli uccelli non si spaventassero. Ed essendo venuti molti uccellini, quello sciocco lo gridò subito, perchè l’altro tirasse le reti. E gli uccelli, udita la voce, scapparono. Ma sgridato acerbamente dal cacciatore, promise il silenzio; ed essendo gli uccelli tornati, quello stolto lo disse prontamente con parole latine “Aves permultæ sunt ” credendo in questa lingua gli uccelli non avrebbero compreso. E questi fuggirono di nuovo, e il cacciatore smarrita la speranza di far buona preda, rimproverò anche più acerbamente il dottore di aver parlato. E questi: “Forse che, disse, gli uccelli sanno il latino?” Credeva egli che se ne fossero andati non pel suono, ma per il significato delle parole, come se le avessero capite.