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CCLXVII

Di un morto che era vivo e che

portato al sepolcro parlò e fece ridere.


Eravi a Firenze uno stolto, chiamato Nigniaca, che non era furioso e anzi abbastanza giocondo. Alcuni giovani allegri, per averne da ridere, vollero persuaderlo che aveva molto male, e concertata la cosa, quando uno di loro uscì di casa la mattina e incontrò il matto e gli chiese che male avesse, perchè aveva la faccia stravolta e pallida: “Nessuno,” rispose il matto. Poi, dopo essere andato un poco innanzi, un altro della congiura lo interrogò se avesse egli la febbre, da quel che si vedeva dalla faccia smorta e da ammalato. E lo stolto prese a dubitarne, come se quel che e’ dicevano fosse vero. E andava timidamente e a passo lento, quando s’imbattè in un terzo che, come era stabilito, appena vistolo: “Hai una faccia, disse, che mostra che sei gravemente malato ed hai una violentissima febbre.” E quello temè sempre di più, e fermatosi, stava pensando se realmente si sentisse in febbre. E sopraggiunse un quarto, che affermò che egli era infermo, e si meravigliò che e’ non fosse in letto e lo persuase ad andarsene subito a casa, e si offerse come amico, e promise che l’avrebbe curato come un fratello. Lo sciocco tornò indietro, come se fosse preso da grave malore, ed entrò nel letto, che parea che spirasse. E gli altri amici vennero tutti alla casa e dissero che aveva ben fatto quello che l’aveva messo a letto. Poco dopo venne un tale che si spacciava per medico, e toccato il polso, disse che il malato poco dopo sarebbe per quel male morto. E i circostanti diceansi gli uni agli altri: “Già incomincia a morire, già gli si freddano i piedi, già balbetta, già si fan di vetro gli occhi.” E tutti in una volta: “È spirato. Chiudiamogli