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Pagina:Poggio Bracciolini - Facezie, Carabba, 1912.djvu/179

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facezie 167

dunque gli occhi e componiamolo e portiamolo a seppellire.” E poi: “Oh! che disgrazia è per noi questa perdita! Egli era buono e nostro amico.” E si consolavano a vicenda. Lo stolto, come se fosse morto, persuase sè stesso di esser morto. Postolo sul feretro, quei giovani lo portarono per la città, e quando i passanti chiedevano che ciò fosse, rispondevano che era Nigniaca che essi portavano al sepolcro. E lungo il viaggio molti presero parte al giuoco, dicendo che portavano Nigniaca al sepolcro. A un punto saltò su un taverniere: “O che cattivo animale fu egli mai, e che pessimo ladro, degno di essere appiccato!” Allora lo stolto, udite queste parole, alzò il capo: “Se fossi vivo, rispose, come son morto, ti direi, furfante, che tu menti per la gola.” E coloro che lo portavano diedero in un gran riso e lasciarono l’uomo nel feretro.


CCLXVIII

Di un sofisma.


Due amici, al passeggio, discutevano se fosse maggiore la voluttà nel fare all’amore o nello sgombrarsi il ventre e videro una donna che non aveva mai disprezzato di trovarsi con gli uomini: “Chiediamolo a costei, disse uno, che è esperta in entrambe le cose.” “No, rispose l’altro, costei non può giudicare la cosa; perchè fece all’amore di più che non abbia cacato.”


CCLXIX

Di un mugnaio che fu ingannato dalla moglie che

gli diè a mangiare cinque uova.


È da aggiungersi alle altre storielle anche questa, che è molto conosciuta a Mantova. È vicino alla città un mulino il cui padrone era nominato Cornicula. Una