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106 | ludovico settala |
scala con la quale alcuni saliscono ad impadronirsi tirannicamente dell’imperio della propria citta, i’aver in essa grande
autoritá; la quale cosa i potenti nell’oligarchia come i capi del
popolo nella democrazia s’acquistano col mantenersi longamente
nelle dignitá de’ principali magistrati. Questo fu piú d’una volta
ricordato da Aristotele nel secondo e nel quinto della Politica,
apportandone due ragioni: l’una perché impedendosi agli uomini o ambiziosi o di eccellente ingegno la strada agli onori
e alla dignitá, dá occasioni a sedizioni, tumulti, e mutazioni di
forma di republica; l’altra perché rendendosi troppo insolenti
quelli che, per longhezza di tempo restati potenti, hanno pigliato troppo amore al dominare, perciò si preparano la strada
alla tirannide: esempio ci sia Giulio Cesare, il qual per essergli stato prolongato l’imperio nella Francia, non sapendo
piú vivere vita privata, distrusse la republica romana, facendosi in quella monarca.
Il quarto avertimento, col quale ci insegnò Aristotele il modo di conservare la republica, giudico essere (che pure parerá paradosso) il discoprire i pericoli, che soprastanno alla republica. Poiché in questa guisa divenuti gli uomini paurosi di cader dallo stato nel quale si trovano, si stringono insieme e concordi pigliano ad un certo modo la republica fra le braccia, difendendola con ogni studio, perché loro non sia levata o malmenata. Onde tutti quelli, a’ quali preme ed è molto a cuore la salute della republica, non faranno che bene a metter alle volte ombra e seminar voci e sospetti di pericoli soprastanti o vicini, li quali sarebbono atti a travagliare la cittá o republica, a fine che in questa maniera gli animi de’ cittadini fatti tanto piú svegliati, non tralascino mai tempo, a guisa delle notturne sentinelle, per custodirla.
Non piacque ad Aristotele il paradosso di Solone (difeso però e da Aulo Gellio nel libro secondo al capo duodecimo e del Bodino nel libro quarto al capo settimo), che nelle sedizioni de’ cittadini tutti s’appigliano o ad una o all’altra parte, e che nissuno fosse neutrale, che fu però da Plutarco nei Precetti civili ancora ributtato. Ma per il contrario Aristotele