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224 anton giulio brignole sale


corteggi a Fabio, conviti a Fabio, statue gemme musiche pitture a Fabio. Fabio, in cocchio od a cavallo o in nave, a mano dritta di ciascuno, sberrettato o incensato da per tutto, libero padrone di ogni casa, per non dire di ogni letto, sempre con le scale in flusso e in reflusso, per diluvio nulla men di donativi che di doni: onde, se caso od arte appicca fuoco a sua magione,

          ardet adhuc, et iam accurrit qui marmora donet,
          conferat impensas, hic nuda et candida signa,
          hic aliud praeclarum Euphranoris, et Polycleti,
          Phoecasianorum vetera ornamenta deorum;
          hic libros dabit, et forulos, mediamque Minervam.

(Juv., sat. III.)

Tanto può una opinione, benché solamente da un’estrinseca apparenza sia generata. Perciò un tale citaredo di una corda di liuto o cetera volea pregio ingordissimo, quantunque fosse tutta logora, dicendo che la cetra di Nerone giá ne fu armata. Cosí par che il cortigiano, tosto che ha ventura di esser all’orecchio del padrone, venga tutto prezioso dalla testa ai piedi. Né si dica: agevolmente scoprirassi la finzione; ché si vago è l’uomo di menzogna, che anche quelle che son di suo danno, o non conosce, o conosciute, pure ad onta di se stesso vuole adorare. Non si sente un cuore tôrre affatto la sua pace da quel viso ch’egli idolatra? Non sa forse, che quando anche tutta al minio e alla biacca non si riducesse sua bellezza, si riduce però tutta ad un po’ po’ di pelle, che via tolta, rimarrebbesi atto solo a innamorare i vermini con la schifezza? E pure niega fede a se medesimo, e s’ostina, imaginando, che anche infin nelle midolla all’osso tutto sia beltá, tutto leggiadria. Tanto piú nel caso nostro, che in ambir la grazia del padrone son rivali i cortigiani tutti, onde avviene, che i favori, anche piú finti, fatti ad uno, sono all’altro da gelosa invidia per verissimi rappresentati. Sí che con indubitata veritade chi ha la grazia del padrone in apparenza, può in sostanza ancora affermar di averla.