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della ragione di stato 37


subditorum utilitatem spectat». Ma questa difficoltá la spiana il medesimo filosofo nel quinto della Politica, dove cosí favella: «Vult autem rex esse custos, ut qui divitias habent, nihil iniustum patiantur, nec etiam populus afficiatur contumeliis. Tyrannus autem ad nullam communem rcspicit utilitatem, nisi qratia propríi commodi. Est autem scopus tyranni quod placeat, regis, quod honestum sii. Quamobrem et illa, in quibus plus habent, sunt tyrannis quidem pecuniae, regibus autem honores». Nelle quali parole chiaramente si scorge, che il buon prencipe eziandio procura il proprio bene insieme con quello de’ sudditi, ma diversa sorte di bene, e con altra maniera che non fa il tiranno, il quale principalmente mira all’utile proprio, taglieggiando e angariando i popoli, lá dove il prencipe, aspirando all’onore, si affatica per lo commodo de’ sudditi, come richiede il giusto e l’onesto. Quindi possiamo chiaramente vedere come la ragione di stato de’ buoni governi sia indirizzata al bene di chi commanda e di chi ubbidisce, con tutto che il re si distingua dal tiranno, perché questi «suam, rex subditorum utilitatem spectat».

Questo è il semplice disegno della natura della ragione di stato, la quale io non penso per ora di dovere esprimere piú al vivo, additando i mezzi de’ quali ella si vale e insegnando i modi di cui si serve per conseguire il suo fine. Poiché i capi particolari di ragione di stato, i quali appartengono ai buoni governi, gli possiamo intieramente apprendere dalla Politica di Aristotele, dalle Leggi di Platone, dagli insegnamenti di Senofonte nella Pedia di Ciro, dalla orazione di Isocrate a Nicocle re di Cipri, e da piú altri nobili scrittori antichi e moderni. Quelli poi delle prave spezie di republiche sarebbe sceleratezza e impietá l’insegnarli. Tre pensieri (disse Aristotele) ha il tiranno. Il primo è «ut animos imminuat civium. Nemo enim parvi animi contea tyrannum insurgit. Secundum, ut cives inter se diffidentes reddat. Non evertitur enim tyrannus, nisi civium aliqui inter se fidem habeant. Ouapropter et bonos viros persequitur, quasi pestiferos et adversos dominationi suae: non solum quia non acquiescunt in servitute vivere, verum etiam quia fides eis et