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di angelo poliziano | 205 |
Neo, che fiorirgli schiettamente vedi
Nel dito, canti, ed i tiranni eversi,930
Sapïente l’eloica toccando
Cetera d’oro; ma le tue lamenti
Armi votate all’attica Minerva.
La gravità del carme epico regge
Con la possente lira, o Imera, il tuo935
Cittadino Stesicoro; e sprezzando,42
E, a vicenda, lodando Elena, perde
E riacquista degli sguardi il lume,
Lui che, sebben nemico, ebbe in onore
Falaride tiranno, e che sul labro940
Appena nato, un usignuolo accolse
Sciogliente all’aure armonïoso canto,
Per celebrare il vostro alunno, o Muse.
Ma a lacrimar ne invita la dolente
Elegia di Simonide di Ceo,43945
Che Mnemosine un tempo, unico e primo,
Quamque vides digito nativam inolescere gemmam,
Exactosque canis, pugnax Alcaee, tyrannos,595
Aeolium docto pertentans barbiton auro;
Arma sed actaeae tua fles siispensa Minervae.
Sustinet heroi valida testudine pondus
Carminis, et damnans Helenen laudansque vicissim
Amittit recipitque oculos tuus, Himera, civis600
Stesichorus, quem trux Phalaris veneratus et hostem est;
Cujus et in labris sedit puerilibus olim
Daulias, et vestrum, musae, cantavit alumnum.
Sed vocat ad lachrymas cei pia naenia vatis;
Unum Mnemosyne quondam praeque omnibus unum605