Pagina:Pontano - L'Asino e il Caronte, Carabba, 1918.djvu/108

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il caronte 101


Merc. — No davvero: perchè non è il medico che uccide, ma chi lo chiama il medico. E l’opera sua la pagano profumatamente...

Car. — E ragionano così le leggi civili?

Merc. — Le leggi civili furono ottime un tempo; ma quelli che ora le interpretano e le applicano, le contaminano e ne fanno mercimonio. Il giusto e l’ingiusto si distingue solo dal prezzo; sicchè non c’è maggior peste che quando s’ha bisogno di giudici e di avvocati. Di qui il proverbio: «Lite e Miseria son due sorelle».

Car. — Come mi piace il tuo modo di discorrere! Si vede che sei il padre dell’eloquenza, e io non mi stancherei mai d’ascoltarti. Ma purtroppo siamo quasi arrivati, e bisogna raccoglier la vela e poi scendere.

Merc. — Scendiamo là dov’è meno fango... Poi ce ne andremo a piedi fino al luogo dove ci aspettano i giudici, traversando questi amenissimi prati, e lungo quel ruscelletto che mormora così dolcemente. E non per me; perchè io mi servo dei talari, e viaggio e passeggio ogni giorno... ma per te, al quale ben di rado deve capitare di poter fare una passeggiatina!

Car. — É così, e mi farai un grande piacere. Teniamoci dunque a questa riva verde verde, qui presso quella limpida fontana... Sta attento, Mercurio!... tienti bene a quel ramo...

Merc. — Eccoci a terra; un salto, e sono sulla terraferma.

Car. — Aspettami un momento passeggiando sull’erba: lego la barca a quel palo.