Pagina:Pontano - L'amor coniugale.djvu/121

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poesie d’argomento affine 109

né piú sui licci tela dai morbidi velli si tenda,
moglie non piú mi resta i molli tessuti a cucire.165
Scenda dal ciel la rovina, precipiti il monte superbo,
strage dei campi, strage degli alberi e d’ogni terrena
cosa e la terra tutta si perda dell’onde in balia:
ché non la moglie piú la casa mi guarda, sarchielli
falci a riporre e scuri e il taglio arrotarne, compagna170
d’ogni pur grata fatica nei boschi o nei campi di grano.
E non ò piú chi l’ossa già stanche del vecchio riponga
nel desïato letto, o note e parole al cantore
dia, né col canto aiuti o d’opra di mano chi suona,
non chi mi chiuda gli occhi o doni le chiome all’estinto,175
o di lacrime sparga la tomba mia misera un giorno,
o mi saluti quando io parta pel viaggio eternale.”


Tal Meliseo: dell’antro nascosesi quindi nell’ombra,
dove il dolore e il tempo il vedovo vecchio consuma.
Forse quest’oggi stesso potrà consolare il dolente,180
alleviandogli il male: né il lungo silenzio fu invano.
Proprio, o Faburno, or ora là presso quel mirto, vicino
alla porta, una voce sommessa sembrò mormorare:
“Memori siate, o lauri, di me, e voi Naiadi care,
vi derivate l’acque e il sol riparate ai giacinti.”185

faburno


Mentre la moglie or ora coglieva l’aneto tra i cedri,
e insieme a lei io stesso la menta e il sisimbrio pulivo,
teso l’orecchio, udimmo un gemito lungo e una voce
querula sospirante: “Perché, mio dolore, non vieni
meco la notte almeno, né amica parvenza mi segui?”190