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Salvi.
Perdonatemi, siete sempre la mia cliente.
Matilde.
Ah! Enrico....
Salvi.
Chiamatemi Salvi. — Dal giorno che mi consegnaste i documenti per il processo e che doveste confessarmi la storia della dote e.... altre piccole storielle, la bella martire si mutò per me in una semplice cliente. È forse mia la colpa se da quel giorno le illusioni, quelle diafane sirene coronate d’iridi e di veli, si mutarono nella grossolana figura della verità, e se riconobbi che la causa di una moglie che si separa dal marito per fini di danaro non era niente affatto la più sublime delle cause? — Potete dirmi che sia colpa mia se da quel giorno in poi, goccia a goccia è piovuta nell’anima mia l’acqua gelata del realismo? Da quel giorno vedo le cose come sono, sento le cose come sono, dico le cose come sono, e per questo mi chiamano un burbero, un carattere insopportabile... Egli è che da quel giorno il paladino si mutò in avvocato presso il tribunale civile di Milano; e credo che ne siate un po’ anche voi la colpa.
Matilde.
Dunque voi volete perdermi.
Salvi.
Oh no, non voglio perdervi, signora. — Ma oggi che non sono per voi altro che la metà di quello ch’ero in altri tempi e che però ci vedo più chiaro, m’accorgo di non potervi salvare che la metà di ciò che vi promisi in altri tempi.