Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/124

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— E quell’uomo vive ancora? sclamai coll’impeto dei miei vent’anni.

— Sì, e deve vivere, e saprete il perchè deve vivere, — a meno che non scavalchiate le mie barricate. Ma per ora, si tratta d’altro; ho bisogno di un servizio da voi. Non potrei riposare se sapessi Beppe libero di sè stesso questa notte.

Il curato, così parlando, aveva dato un nuovo scrollo al cordone del campanello.

Baccio comparve.

— Non lascierai partire Bebbe stasera. Preparagli la camera degli scalpellini; ai marmocchi ci pensi Mansueta. Questo signore ti aiuterà a persuaderlo.

Baccio, colla intuizione dei montanari, capì, approvò, inchinossi ed uscì, facendomi un cenno di supplica.

— Per domani, aggiunse il curato, ci penserà un altro amico.

Gli diedi la buona notte e ridiscesi in cucina.

Non ci fu d’uopo di molta fatica per persuadere lo sciagurato Beppe ad accogliere l’ospitalità del presbiterio. Come vide i suoi bambini andarsene a coricare sotto le ali tarpate della Mansueta, egli si lasciò condurre come un agnello, da Baccio, alla stanza degli scalpellini.

La foga con cui aveva narrata la sua tragedia lo aveva estenuato.

Dissi a Baccio che ritornava dall’averlo coricato:

— Eh! dimmi! che cosa significano quei lumi laggiù, verso la casa del sindaco?

Baccio uscì nell’orto e dopo un istante ricomparve sogghignando e mi disse, facendomi lume su per la scaletta: