Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/19

Da Wikisource.

— 9 —


— Non importa; questo buon bastone cornuto m’ha, come lo vedete, aiutato a guadarne altri, e di molti. La strada è questa?

— Sì, fino alla chiesa che è là, a due minuti dal paese; poi si volge per la strada più stretta, a mancina: quella che scende, costeggiando l’orto del signor curato.

— Vi ringrazio: state sano, voi e tutta la vostra famiglia.

— Vengo anch’io fino alla chiesa; di là le indicherò meglio.

— Benone.

E ci incamminavamo.

Le case erano già chiuse quasi tutte. Avean l’aspetto più povero di quelle vedute nei dintorni; ma in compenso la strada era di una insolita pulitezza. Alti gruppi di quercie si intercalavano bizzarramente qua e là all’abitato, coprendo le tegole di verzura e di ombria; alcune rocche di camino andavano a nascondersi nel frondame; lì, la casa e l’albero non erano vicini, parevano abbracciati.

La luna illuminava quei casti amplessi quasi affettuosamente, ed io vedeva, nell’umida penombra, di così cari motivi di pittura che me ne piangeva proprio il cuore a staccarmene.

— Dite, il mio brav’uomo, oltre il curato, non conoscete nessuno che possa offrirmi, pagando, una materassa? Una materassa mi basta e, quanto al mangiare, sono ancor meno difficile.

— Per carità! Nessuno, nessunissimo; tutta povera gente che a voltarli colle gambe in aria non cade in terra la croce di un quattrino. I più agiati, in questa stagione, sono all’alpe: si dorme nelle stalle o a ciel sereno... s’immagini.