Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/204

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« — Eppoi? mi rispose; oramai non potrei adattarmi a fare delle privazioni e non so far altro che ballare. Questa è la mia vita, benchè non sia molto bella.

«Quanto a bella non l’era davvero; far della notte il giorno, mangiar quando gli altri dormono, andar a letto quando gli altri s’alzano: e sempre la casa piena di gente, un andirivieni continuo, — oh che vitaccia, che vitaccia!

«Dopo due mesi già non ne poteva più. Ero afflitta, irritata; mi arrabbiavo, piangevo sempre. Mi pareva di essere in un ospedale di matti, e qualche volta peggio, all’inferno addirittura. Quell’abbondanza mi era uggiosa, ero disgustata di tutto, desideravo con tutto il cuore la povertà, le nostre afflizioni, la nostra casetta in cui almeno si poteva gemere in pace, pregar Dio, mentre là.....

«Ero sempre imbronciata con tutti e anche con la povera Rosilde, che, ne sono sicuro, si sarebbe fatta in pezzi per contentarmi. Ed io ero spesso cattiva con lei, la strapazzavo.

«Finalmente presi l’unica risoluzione che mi fosse concessa: tornare al mio paese.

«Mia sorella non oppose la menoma resistenza, non tentò neppure un minuto di distogliermi.

«Non già che non le rincrescesse, ma s’era accorta di quel che pativo e, come sempre, ella non pensò a sè stessa.

«Mi disse soltanto: va bene, fa come vuoi, — ma con una voce che mi straziò il cuore. Povera ragazza!.

«Gli ultimi tre giorni che rimasi con lei non volle sentir parlare di teatro, si diede per indisposta, si chiuse in casa con me, mi colmò di tenerezze, di