Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/214

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«Poi nessuno parlò più.

«L’agonia era cominciata.....»

Mentre Mansueta raccontava io aveva tenuto macchinalmente gli occhi fissi sul ritratto di Rosilde; e, man mano che la triste storia progrediva, quel volto bianco pareva animarsi sotto il mio sguardo: il sangue rifluiva nelle venuzze azzurre della fronte, le tempia pulsavano sotto l’impeto della passione, le pupille inquiete gittavano un’occhiata paurosa dietro le spalle, la vita esile affievolita abbrividiva; le labbra lasciavano fuggire un grido, un sospiro...

Egli è che non v’ha nulla di più vero, di più logico che il dolore, e non v’ha cemento d’anime più possente ed efficace di quello. Perciò l’arte chiede ad esso così soventi le sue ispirazioni, perciò gli deve le sue più forti creazioni.

Se mi avessero narrata una vita venturosa, di gioie, di successi, quella creatura sarebbe rimasta un’estranea, una bella ignota. Invece mi si era detto: ella ha patito, ha pianto, — ebbene eravamo conoscenze vecchie.

Un uomo felice diventa decrepito centenario; è dimenticato prima che morto.

Un altro disgraziato muore giovane: il suo ricordo sopravvive spesso dei secoli.

Chi pensa a Matusalem, chi non ha pianto Abele?

Dicevano i Greci: — chi muore giovane è caro agli Dei.

Certo egli è carissimo agli uomini.

Quella giovane donna era scomparsa da vent’anni. Ebbene la sua figura spiccava ancora vivissima sullo sfondo del piccolo mondo ch’ella aveva attraversato: tutte le figure del dramma misterioso che andavo