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viii - tedio e primavera 263

     130Ella di Dio dá segno
in questa buia chiostra
dove ha Satáno il regno.
     Deh! se il mio cor si prostra
a’ cenni tuoi, gran Dio,
135deh! per pietá mi mostra,
     scossa dal lieve oblio,
la dolce larva ancora
del paradiso mio!
     Dai vesperi all’aurora
140ben io la sogno, e l’alma
come il pensier l’adora.
     Simile a nivea salma,
ella talor mi brilla
per notte azzurra e calma.
     145Talor la sua pupilla
il solitario foco
dal cor mi dissigilla.
     E allor celeste è il loco
dond’io la guardo e tremo;
150divino è il tempo e poco.
     Allor l’inerte e scemo
vigor mi torna, e sento
tutto il mio ben supremo.
     E in mute ebbrezze intento,
155fuor che il pensier, che l’ama,
di me tutt’altro è spento.
     Nulla il mio cor piú brama,
perché rapito in lei
altri che lei non chiama;
     160né ben narrar potrei
se sien di morte o vita
i rapimenti miei.
     Ma so ch’è una romita
gioia profonda e strana,
165ch’io non ho mai sentita.