330Ella sì amante, che parea vivesse
del soffio mio! Tradirmi ella, mendica
e allo splendor delle mie nozze assunta!
Ella che sempre io nominai coi nomi
piú giocondi e soavi!... Arrigo, acqueta 335l’anima ardente. E non potria quel folle
essersi appena avventurato un giorno
a tentar le mie soglie, e così offesa
Edmenegarda dispregiar quell’atto,
da non curarne o vergognar tacendo? 340Talor maestro di sospetti è il caso
perfido e vile. Ma... quel novo stato
di tristezza che l’occupa! Parlarle
uopo è una volta. Oh incanutir le chiome
mi possano oggi! Mi diserti il cielo 345d’ogni ricchezza, un misero sepolcro
copra i miei figli; ma non sia l’orrendo
fallo, non sia! — Da una lampada d’oro
sul letto nuzial d’Edmenegarda
una timida luce si diffonde 350velatamente. Ella è soletta, e il capo
stanco reclina tra le ardenti palme.
E pensava, pensava! E in quei pensieri
era un torbido assalto di paure,
di rimorsi, d’amor, di pentimenti, 355e indomato un disio di sovvenirsi,
e un lungo sforzo d’obliar. Da quella
mutua battaglia alfin scosse la testa.
Arrigo entrò. Lieve un tremor sul labbro,
lieve un pallor; non altro. E a lei vicino 360si pose. — Arrigo! — Edmenegarda! È tempo