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Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu/30

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24 i - edmenegarda

330Ella sì amante, che parea vivesse
del soffio mio! Tradirmi ella, mendica
e allo splendor delle mie nozze assunta!
Ella che sempre io nominai coi nomi
piú giocondi e soavi!... Arrigo, acqueta
335l’anima ardente. E non potria quel folle
essersi appena avventurato un giorno
a tentar le mie soglie, e così offesa
Edmenegarda dispregiar quell’atto,
da non curarne o vergognar tacendo?
340Talor maestro di sospetti è il caso
perfido e vile. Ma... quel novo stato
di tristezza che l’occupa! Parlarle
uopo è una volta. Oh incanutir le chiome
mi possano oggi! Mi diserti il cielo
345d’ogni ricchezza, un misero sepolcro
copra i miei figli; ma non sia l’orrendo
fallo, non sia! —
Da una lampada d’oro
sul letto nuzial d’Edmenegarda
una timida luce si diffonde
350velatamente.
Ella è soletta, e il capo
stanco reclina tra le ardenti palme.
E pensava, pensava! E in quei pensieri
era un torbido assalto di paure,
di rimorsi, d’amor, di pentimenti,
355e indomato un disio di sovvenirsi,
e un lungo sforzo d’obliar.
Da quella
mutua battaglia alfin scosse la testa.
     Arrigo entrò. Lieve un tremor sul labbro,
lieve un pallor; non altro. E a lei vicino
360si pose.
— Arrigo!
— Edmenegarda! È tempo